Perché NON dire BRAVO a tuo figlio

 

In generale, è sconsigliato, poiché deleterio per l’autostima e per una sana crescita psichica ed emotiva del bambino, usare premi e punizioni come strumenti educativi, anche perché, così facendo, si equiparano i bambini ai cani ai quali diamo o togliamo crocchette per insegnare a riportare la palla; senza nulla togliere a cani e bambini. Con la differenza che il cane lo volete vostro e obbediente a voi – padrone – per sempre, ma il bambino che impari a essere sempre perfettamente obbediente non vivrà solo con noi genitori, ma avrà amici alle scuole medie che proporranno attività pericolose, incontrerà adulti che vorranno approfittare della loro ingenuità. Volete che sia sempre obbediente o che sappia farsi valere nelle varie situazioni della vita, con il capo, con il partner, con gli amici? 

Oggi vediamo anche perché non dire BRAVO.

“Ma come, neanche bravo?”

“No, neppure bravo.”

“Ma dai, ho capito che non devo picchiare mio figlio (…. Bene -_-)…  ma adesso, siamo cresciuti tutti benissimo e nessuno è rimasto traumatizzato perché ci dicevano bravo quando facevamo qualcosa bene! E poi, come li educhi i bambini se non sanno cosa va fatto e cosa no?

Ok, andiamo avanti.

Credo concorderemo tutti su due cose: 1) vogliamo che i nostri figli capiscano quali sono i limiti, e 2) vogliamo che non restino traumatizzati quando si troveranno a contatto con il “mondo esterno”, che vive di premi e punizioni e bravo e cattivo/monello, ecc.

Il bambino sarà naturalmente esposto a un mondo che lo giudicherà. 

Ma ciò su cui tu, come genitore, puoi fare una straordinaria differenza per la sua intera vita è insegnargli a NON DIPENDERE, per la sua felicità, da quel giudizio esterno. 

Lui saprà, perché lo vivrà, che qualcuno lo giudicherà sempre; a questo penseranno i nonni, le maestre e così via, ma se a farlo (anche in senso positivo, con un bravo) siamo noi genitori, lui parlerà a se stesso per tutta la vita con gli stessi termini che noi abbiamo usato nei suoi confronti: ossia, “sono bravo SOLO SE faccio qualcosa in un certo modo”. Invece lui è bravo sempre. Lui è perfetto così come è, anche quando commette un errore. 

La naturale conseguenza di questa innata consapevolezza è, fra le altre, che quando commette un errore non si deprime, non si dà addosso, non si flagella, ma si accorge dell’errore e semplicemente prova a porre rimedio. 

Ero arrabbiato e frustrato per x ragioni e ho insultato le mie compagne di classe con epiteti terribili. Tutti, il preside, gli insegnanti, le compagne, le loro famiglie, mi danno addosso, mi etichettano come un bullo e un maschilista. Posso pensare di essere uno schifo di persona e rinchiudermi in me stesso, oppure chiedere scusa perché obbligato dal pressing del giudizio altrui. Ok. Ma c’è un’alternativa: io, figlio, posso dire semplicemente: “scusate, ero terribilmente arrabbiato e frustrato e mi sono sfogato con voi, non è colpa vostra e mi rendo conto, e sono davvero dispiaciuto, del mio errore. Voglio rimediare e, per farlo, vi mando un mazzo di fiori con una lettera di scuse SINCERE”. 

Per ottenere questo risultato di serena presa in carico della propria responsabilità per un errore commesso, noi genitori dobbiamo agire in 2 direzioni: 

1) focalizzare l’attenzione sull’azione, su ciò che FA, e non identificare ciò che ha fatto con ciò che lui E’; quindi, invece di dire che è bravo se fa la pipì nel vasino si può dire “accidenti quanta pipì in questo vasino!”, oppure “è proprio alta questa torre!” o ancora “che bel disegno colorato! Cosa rappresenta?”.

Quindi, in generale, non dargli etichette, non usare appellativi che lo definiscono (bravo, intelligente, monello, pigro, brontolone, lamentoso, furbo…). E…

2) spostare l’attenzione internamente a lui, e non esternamente. Non conta ciò che IO GENITORE penso di te, ma conta ciò che TU pensi di te stesso. In questo modo, allenandosi costantemente con qualcuno (genitore) che riporta con delicatezza il discorso da fuori di sé a dentro di sé, svilupperà il proprio giudice interiore.

Lo si può aiutare lo stesso a compiere azioni “moralmente giuste” (anche se aborrisco entrambi i termini), ma nel contempo si fa in modo che lui faccia qualcosa perché LUI reputa giusto e bello farlo: aiuto la vecchietta ad attraversare perché mi fa sentire bene essere utile a qualcuno, e non perché mia madre mi sta guardando e poi mi approva; dico grazie perché davvero provo gratitudine verso quella persona e non do per scontato ciò che ha fatto per me. 

Nel contempo, imparerà ad amare se stesso indipendentemente da ciò che fa (e ciò non vuol dire che può ammazzare o insultare il prossimo): vuol dire che imparerà le conseguenze delle sue AZIONI, ma saprà distinguere ciò che fa da ciò che è, e se studia poco –> imparerà poco (e il voto – che dovrebbe essere solo un aiuto per capire il livello del proprio studio – lo stanno eliminando alla primaria e spero lo toglieranno anche negli altri gradi di scuola perché è diventato il fine dello studio, mentre il vero fine dello studio dovrebbe essere l’apprendimento, la gioia di imparare e sperimentare ed essere curiosi). 

Come dicevo, lui E’ bravo, ma FA qualcosa di sbagliato. E il FARE qualcosa di sbagliato non intacca ciò che lui E’. E’ un episodio limitato che non lo definisce, come uno studente che va bene a scuola non è più bravo di uno che studia meno. Semplicemente è uno studente che studia di più (ma magari non aiuta le vecchiette ad attraversare la strada e tortura gli animaletti). 

Ciò che, di questo discorso, più di tutto importa è che lui impari a essere il giudice di se stesso, e per esserlo deve allenarsi, e lo può fare solo in famiglia, perché fuori nessuno glielo permetterà: si inizia imparando a capire che fare la pipì nel vasino va bene non perché così mamma è contenta e mi dice bravo, ma perché così il corpo rimane asciutto, si prova una sensazione di benessere, il pancino si libera, perché il pavimento non ha un cattivo odore. Mangio le verdure non perché così soddisfo le aspettative di mamma, ma perché mi prendo cura del mio corpo, lo ascolto, e vedo che mangiando le verdure il mio corpo sta meglio. 

Si continua decidendo da soli se entrare in un’auto il cui guidatore ha bevuto troppo alcol, e fregandosene di ciò che i propri coetanei pensano. E si sceglie di fare medicina all’università non perché “così sono figo e tutti pensano che sia bravo, ma perché sento che il mio scopo nella vita è quello di aiutare le persone a restare in salute”. 

Anche perché, e qui concludo ché già ho scritto un poema, ci sarà sempre qualche ambito in cui lui dovrà prendere decisioni autonomamente, un settore in cui noi genitori non abbiamo avuto occasione di indirizzare il suo comportamento dicendogli la nostra opinione: a quel punto, se sarà abituato ad ascoltare il suo giudice interiore, prenderà una decisione saggia, che non tradisca il suo modo di essere ma tenga anche conto del benessere delle persone attorno a lui (perché ha imparato per esperienza a esercitare l’empatia e che rispettare gli altri fa bene a lui e a tutti); se invece così non è si guarderà intorno, cercando un’autorità (può essere una persona fisica, come il capo o il partner o l’amico carismatico, o una entità astratta come “la società” o “il gruppo”), cercherà di capire come ottenere l’apprezzamento di quell’autorità, e si comporterà di conseguenza. In tutto questo, l’azione in sé perderà completamente di senso: non farà beneficenza per fare beneficenza, ma lo farà se altri lo sapranno e potranno dargli quella gratificazione che ha una fonte solo esterna a lui. Insomma, per avere l’energia elettrica, preferite pagare l’Enel, che è fuori, o preferite avere il vostro impianto di fotovoltaico dentro casa ed essere autonomi?

La vera domanda è: noi genitori siamo pronti e disposti ad avere figli così meravigliosamente liberi dal giudizio altrui, compreso il nostro? Siamo pronti a farli crescere e a farli volare ovunque il loro istinto li indirizzi, con la guida esclusiva della propria coscienza? Li vogliamo davvero figli che, a domanda “e cosa penseranno gli altri?”, rispondano “non mi importa di cosa pensano gli altri, è una scelta che riguarda solo la mia vita”?

libera tuo figlio dal giudizio esterno

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