Come forse avrete notato, a partire dal mio nome d’arte e dalla descrizione degli ingredienti della nostra magica pozione, un concetto fondamentale per me come essere umano, prima che come donna, è quello di imperfezione. O, se preferite, una ridefinizione del concetto di perfezione.
Tutti noi siamo cresciuti con l’idea che esista un modo giusto di fare le cose, contrapposto a un modo sbagliato. Esiste il modo corretto di essere genitore, di essere uno studente, il modo adatto a farci considerare una brava ragazza o un bravo ragazzo. Siamo cresciuti, senza colpe di nessuno, con schemi e automatismi che hanno segnato profondamente il nostro cervello, lo hanno modellato, tanto da creare dentro di noi un severissimo giudice interiore, di quelli che ti bacchettano e, ogni volta che commettiamo un errore, prima di poter anche solo ragionare sulla situazione e sui possibili rimedi, ci ricorda quanto siamo sbagliati (con la variante di “sciocco”, “fallito”, “imbranato”, “disorganizzato”, “combinaguai”).
Di conseguenza, abbiamo anche un’idea precisa di quali siano le caratteristiche che debba avere nostro figlio, per essere perfetto, adeguato alle aspettative nostre, dei nostri genitori, degli insegnanti, del gruppo di amici, della società.
Altrettanto evidente è che il medesimo giudice, dopo essersi sfogato con noi, non ha alcuna intenzione di fermarsi e va avanti, criticando il resto del mondo: per le risposte che gli altri danno, per il modo in cui si vestono, per le scelte di vita che fanno.
Forse qualcuno, fra noi, è stato graziato più degli altri. Ma, davvero, chi può dire, in tutta onestà, di non aver mai provato la sensazione di essere inadeguato, chi può dire di non aver mai guardato gli altri attorno a sé prima di decidere se la strada che stava intraprendendo fosse corretta?
Ascoltare i consigli altrui, prendere ispirazione da persone di cui ci fidiamo, quello sì, è sano. Ma la parte imprescindibile è che poi, dopo aver fatto un giretto fuori, in mezzo al resto del mondo, torniamo al sicuro, dentro noi stessi, e ci ascoltiamo, capiamo davvero chi siamo noi, cosa desideriamo, ciò di cui abbiamo bisogno, cosa ci fa stare bene. E questo, purtroppo o per fortuna, non è qualcosa che possiamo farci spiegare da altri, perché tutte queste cose cambiano da persona a persona. Siamo tutti meravigliosamente diversi. E’ la nostra personale biodiversità, quella umana, che è da tutelare esattamente come quella della flora e della fauna di un certo ecosistema. La biodiversità è fondamentale alla vita. E la nostra non fa eccezione. Siamo tutti diversi, abbiamo personalità diverse e talenti diversi, veniamo da luoghi diversi, da famiglie diverse, abbiamo diversi desideri e diverse aspirazioni. E meno male! Non siamo, ancora, prodotti identici di una fabbrica. E questa varietà è estremamente utile al mondo.
Due frasi sembrano in contraddizione, ma non lo sono realmente.
- Siamo imperfetti perché commettiamo errori, ed è giusto così. Senza gli errori non andremmo da nessuna parte. Negli errori viene spesso fuori qualcosa di positivo, e se proprio non c’è qualcosa di oggettivamente positivo, come minimo ne trarremo un insegnamento, impareremo qualcosa che non sapevamo, qualcosa che ci permetterà di fare passi avanti nel nostro percorso di vita. Non siamo sassi, siamo esseri viventi, in quanto tali soggetti al mutamento: finché siamo capaci di cambiare vuol dire che siamo ancora vivi. Trovare un aspetto interessante o positivo in un errore, o come minimo trovarci un insegnamento, è una capacità che ci permetterà di progredire, di crescere, di vivere.
- Siamo tutti assolutamente perfetti così come siamo. Ma come, non eravamo meravigliosamente imperfetti? Certo. Siamo perfetti nella nostra diversità e nelle nostre imperfezioni. Non dobbiamo ambire a omologarci. Far parte di un gruppo va bene, stringere legami con altri esseri viventi, umani e non, ci rende vivi, fa bene al cuore. Ma per avere un legame non dobbiamo pretendere di essere uguali. Ognuno avrà le sue caratteristiche che lo renderanno unico e perfetto.
Va bene, Fulvia. Bel discorso. Ma cosa c’entra questo con i nostri figli? In che modo queste (quantomeno opinabili) idee di perfezione e imperfezione potrebbero aiutarci a vivere in armonia con loro?
Il collegamento c’è, cari amici.
Guardate il bambino che avete davanti a voi. Guardate i suoi riccioli o i suoi capelli lisci, guardate il suo modo strampalato di pronunciare una parola, guardate il modo in cui inventa cose inesistenti, guardate in che posizioni buffe lo trovate addormentato. Guardate il modo unico con cui vi guarda. E adesso ditelo: lui è perfetto così come è. E’ perfetto quando è curioso e tocca tutto, quando è affettuoso e vi dice che vi vuole bene. E’ perfetto quando sa di dover imparare a camminare, si fida di se stesso e cade, cade, cade milioni di volte e ogni singola volta, talvolta dopo un pianto, si rimette in piedi. E’ perfetto quando vuole imparare a versare l’acqua in un bicchiere, e sfida se stesso a riempirlo fino al bordo: molte volte la farà uscire; sì, avrà bagnato la tovaglia. Avrà commesso un errore. Ma avrà esercitato la sua concentrazione, avrà sperimentato la precisione, sarà diventato attento e sempre più esperto. Quanti tesori sono nascosti in una tovaglia bagnata, in quello che un occhio superficiale vedrà solo come un errore? Quanta delicatezza dovrà tirar fuori da se stesso per riuscire a imprimere la giusta forza a un uovo per romperlo?
Gli errori non sono mai solo errori. Non sono da evitare. Ci rendono meravigliosamente imperfetti e ci arricchiscono in modi del tutto inaspettati. Non demonizziamoli.
Le differenze fra noi (o i nostri figli) e il resto del mondo non sono errori. Sono tesori, sono talenti unici, sono proprio loro a renderci preziosi, rari come alcune gemme, perché non ce ne sono altre uguali.
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A volte, quando ci dimentichiamo di pagare una bolletta, o ci innervosiamo più del dovuto per qualcosa, quando offendiamo un’altra persona per quel nervosismo, o quando nostro figlio ci urla in faccia che non ha nessuna intenzione di indossare quelle scarpe o di lavarsi i denti, o quando ci si attacca addosso perché non vuole entrare a scuola, o quando sembra che sia l’unico bambino, fra tutti quelli che conosciamo, che non riesce ad addormentarsi da solo; in tutti questi casi sarà forte la tentazione di pensare che i nostri errori ci rendano sbagliati, che le sue imperfezioni lo rendano strano e non adeguato. Non inseguite quella tentazione, cari amici. Abbandonate quella strada, vi assicuro che non vi porterà da nessuna parte. Se c’è un problema, c’è anche una soluzione.
Se abbiamo offeso qualcuno, non aspettiamo per chiedere scusa (per la nostra parte di errore) e impegniamoci davvero a non farlo di nuovo.
Se abbiamo dimenticato una bolletta, non diamoci addosso: capita di essere sovrappensiero, capita di essere stanchi, capita e basta. Capita a tutti. Cerchiamo un modo per ricordarlo. E se quel modo non funzionerà, ne cercheremo un altro.
Se nostro figlio è in difficoltà, cerchiamo il modo per aiutarlo (e abbracciare lui e la sua difficoltà).
Non sappiamo, in molti casi, se una sua certa caratteristica sia proprio ciò che gli servirà, in futuro, per realizzare il suo progetto di vita. Guidiamolo, accompagniamolo, restiamo al suo fianco. Ma non giudichiamolo mai per essere ciò che è, per essere diverso dagli altri. Non giudichiamo noi stessi. Mandiamo in pensione il giudice severo e chiamiamo, al suo posto, una mamma o un papà amorevole, una nonna affettuosa che ti dà un bacino quando cadi o un nonno che ti incoraggia mentre impari ad andare in bicicletta. Questo non servirà solo per nostro figlio, servirà a noi innanzitutto, e a lui di conseguenza.
Credetemi, da tutto questo verrà fuori un capolavoro!
L’imperfezione ha da sempre consentito continue mutazioni di quel meraviglioso e quanto mai imperfetto meccanismo che è il cervello dell’uomo. Ritengo che l’imperfezione sia più consona alla natura umana che non la perfezione.
Rita Levi Montalcini