Le 3 magiche D: Disciplina Dolce e Dignità

A differenza di ciò che ci si può aspettare in questo genere di blog, non sono in grado di dare troppi consigli su come crescere un figlio, nel caso in cui i genitori si aspettino di trovare un “metodo” che garantisca risultati.

Be’, non è questo il caso, e se cerchi un metodo, questo è il posto sbagliato per trovarlo.

E allora cosa propongo? Io propongo un approccio alla vita (familiare e non) e al rapporto con i bambini in particolare che non necessiti più di un “metodo”, fatto di n passaggi consequenziali, perché è proprio il nostro modo di pensare che cambia.

La disciplina dolce, con la quale io desidero instaurare la relazione con i miei figli, consente di considerarli nella loro dignità di esseri umani. 

Loro vivono in una certa casa, che è la loro, esattamente come appartiene ai genitori. Non hanno deciso loro di venire al mondo, gli adulti lo hanno fatto, e una volta nati è opportuno riconoscere loro lo status di persone, dotate di desideri, preferenze, sentimenti, emozioni, esattamente come lo sono gli adulti.

Considerando questo punto di vista, empaticamente, forse ci verrà più semplice non pensare che loro siano un ostacolo alla nostra realizzazione, alla nostra calma, al nostro divertimento. I bambini sono impegnativi e questo è sicuro; ma, come sempre, tutto il segreto sta nella prospettiva: mettiamoci al loro posto. Infiliamoci per qualche ora in un mondo in cui dobbiamo sottostare a regole imposte da altri, orari imposti da altri, tipi di cibi decisi da altri. Immaginiamoci costretti a vivere, o comunque passare il tempo, con persone che altri decidono per noi (esempio: gli amici del nostro partner, colleghi, inquilini… tutte persone su cui noi non abbiamo quasi nessuna voce in capitolo, e se ci sentiamo trattati bene o no… be’, dovremo farceli andar bene comunque, e sopportare ciò che fanno). Immaginiamo di non avere quasi alcun potere decisionale. E se, un giorno, decidiamo di dire NO a qualcosa, dobbiamo prepararci alla battaglia. 

Immaginate quanto possa essere stressante se, ogni volta che desiderate mangiare un piatto di pasta con il pesto, sapeste con matematica certezza con il vostro partner si opporrà, perché aveva deciso di preparare altro; idem se preferite mettere la gonna o i pantaloni; per non parlare dei rimbrotti a voi destinati quando direte che proprio non avete voglia di andare al lavoro, quel giorno, o che siete stanchi dopo una nottata di sonno agitato. Immaginate cosa vuol dire sapere in anticipo che i vostri desideri dovranno essere, sempre e comunque, oggetto di contrattazione con un’altra persona, o più di una, tutte con maggior potere contrattuale di voi. Sapere che, alla fine, la vostra volontà potrebbe non essere rispettata. E che comunque la decisione finale non toccherà a voi, ma dovrete rimettervi al buon cuore e alla pietà altrui.

Ora, dico io, immaginate che alla fine di tutto questo qualcuno vi venga anche a dire “di smetterla di fare i capricci, di essere noiosi!”, e ve lo dica pure con la voce brutta e cattiva.

Non so voi, ma io potrei alternare fra due possibilità, a questo punto: o mi metto a piangere disperatamente per la frustrazione e la mancanza di libertà, di possibilità, di soluzioni, o me ne vado di casa sbattendo la porta e mandando a quel paese il soggetto che prova a vincolare la mia vita in questo modo, e con tale arroganza! Più probabile la seconda.

Non dico che dobbiamo far fare ai bambini ciò che vogliono, non dico di preparare la pasta al pesto con patatine fritte a pranzo e cena. Non dico di lasciarli uscire con i dentini non lavati.

Ma, almeno, possiamo smettere di chiamarli capricci? E’ veramente svilente. E’ un insulto verso la loro volontà e verso la loro capacità di formarsi opinioni.

Possiamo addolcire la nostra voce?

Possiamo provare a capire il loro punto di vista senza bollarlo come irrispettoso, viziato, indisciplinato, come se noi e la nostra volontà fossimo il centro di tutto?

Possiamo, con gentilezza, con comprensione, con empatia, metterci nei loro panni e dirglielo, con il cuore, che li capiamo, che li rispettiamo, che lo sappiamo che è una gran seccatura dover fare questo e quest’altro, e che possiamo trovare insieme delle soluzioni in cui siamo tutti contenti, e la salute del pancino e dei dentini preservata?

Possiamo farglielo capire in modo inequivocabile che siamo pronti ad ascoltarli?

Possiamo dare loro la certezza che siamo al loro fianco e non contro di loro? 

Eh, che dite? Possiamo provare a considerarli degli esseri umani e trattarli come tali? Ossia con gentilezza e con rispetto della loro dignità.

Vedi mai che iniziamo a trattare così loro, e poi… miracolo! anche noi stessi e il resto del mondo. Vedi mai che la rivoluzione della gentilezza inizia da casa nostra, da qui, da ora, e arriva fino alla parte opposta del mondo. Perché, si sa, la gentilezza è contagiosa: se vieni trattato bene, ti viene voglia di trattare bene gli altri. E’ inarrestabile questo processo.

Ma la cosa importante è che sarà inarrestabile la serenità di tuo figlio nello scoprire che anche ciò che lui pensa e desidera avrà un valore, un valore vero, preso in considerazione seriamente, non come contentino e moneta di scambio affinché faccia qualcos’altro che noi desideriamo (=manipolazione). Ne deriveranno armonia, serenità e una vera comunione d’intenti per tutta la famiglia. Provare per credere! Sono tutti semi che germogliano subito e continueranno a dare i loro frutti negli anni a venire, in un processo che, una volta avviato, si autoalimenta senza mai fermarsi e supera anche i limiti della nostra vita, trasferendosi di generazione in generazione. Se mia nonna ha trattato bene mia madre, e di conseguenza mia madre ha trattato bene me, e quindi io tratto bene i miei figli… cosa credete che accadrà ai figli dei miei figli? E’ un investimento sicuro, per noi e, perché no, per l’umanità!

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