Effetti sul cervello delle sculacciate

Se anche tu, di fronte a una reazione violenta, oppositiva, "capricciosa", o comunque estenuante, sfibrante e frustrante di tuo figlio, sei stato tentato di dargli una sculacciata (o peggio) ... leggi con me questo articolo sugli effetti che questa forma di punizione ha sul cervello dei bambini.

A quale genitore non è mai capitato, di fronte a una reazione violenta, oppositiva, capricciosa o comunque estenuante, sfibrante e frustrante del figlio, di dare o comunque pensare/desiderare fortemente di dare uno sculaccione? Io faccio coming out e lo ammetto: a me è capitato, più di una volta 🤦‍♀️

Alla fine del presente articolo troverete un paragrafo intitolato “Le sculacciate e il cervello” tratto dal libro “La sfida della disciplina. Governare il caos per favorire lo sviluppo del bambino”, di Daniel J. Siegel e Tina Payne Bryson. Lui è uno psichiatra statuintense, professore di psichiatria alla School of Medicine della University of California, nonché direttore esecutivo del Mindful Awareness Research Center e del Mindsight Institute. Lei, invece, è una psicoterapeuta dell’infanzia e dell’adolescenza, responsabile del servizio di consulenza genitoriale del Mindsight Institute presso la University of California – School of Medicine di Los Angeles.

Per chi lo volesse, può leggere, come vi consiglio di fare, il paragrafo completo. Per chi ha più fretta, vi faccio un riassunto 👇

Sulla base dei loro studi ispirati alle neuroscienze, gli autori (e anche io, eh!!!!) sono fortemente contrari al ricorso alle sculacciate come metodo educativo. Se lo scopo della disciplina è quello di costruire un rapporto basato sul rispetto, fornire insegnamenti e consentire uno sviluppo sano e armonioso del bambino (in particolare del suo cervello), reputano che le sculacciate siano controproducenti per vari motivi (elencati sotto), oltre ovviamente al fatto che si tratta comunque di violenza vera e propria, da cui i bambini devono essere protetti.

👉👀 Attenzione, però, perché approcci disciplinari diversi possono essere altrettanto nocivi:

Isolare il bambino per lunghi periodi di tempo, umiliarlo, terrorizzarlo urlando minacce e impiegare altre forme di violenza verbale o psicologica sono tutti esempi di pratiche disciplinari che infliggono ferite nella mente del bambino, anche quando non viene picchiato.

Ecco i motivi per cui picchiare un bambino, anche “solo” dandogli uno sculaccione, è deleterio:

  1. FOCUS SULLA PAURA E NON SUL COMPORTAMENTO. La sculacciata è controproducente perché distoglie l’attenzione del bambino da se stesso, dal suo comportamento, dalle sue emozioni, dalle alternative al comportamento tenuto che potrebbe attuare la prossima volta, e la sposta invece sulla cattiveria dei genitori, sull’ingiustizia che sta subendo, sulla paura che prova.
  2. STRESS E DISTRUZIONE DI CONNESSIONI NEURALI. La sculacciata provoca un cortocircuito a livello cerebrale, perché, da un lato, il bambino è naturalmente predisposto a cercare, in momenti di malessere o paura, la vicinanza di chi si prende cura di lui (attivazione del “sistema di attaccamento”); dall’altro lato, però, il nostro cervello interpreta il dolore come una minaccia da cui fuggire. Purtroppo, il bambino non può ricevere conforto e protezione dalla stessa persona che gli provoca la sofferenza per cui vuole essere confortato, e questo crea disorientamento e stress, alimentando la produzione di cortisolo e, quindi, compromettendo uno sviluppo sano e armonioso del suo cervello. Quindi, punizioni dure e severe possono di fatto indurre cambiamenti significativi nel cervello, per esempio la distruzione di connessioni fra le cellule nervose e persino la morte delle cellule stesse.
  3. IL CONFLITTO SI RISOLVE CON LA VIOLENZA. La sculacciata insegna al bambino che il genitore non dispone di nessun’altra strategia efficace se non quella di infliggere dolore fisico. Vogliamo davvero insegnare ai nostri figli che l’unico modo per risolvere una situazione conflittuale è provocare sofferenza fisica, in particolare in una persona indifesa che non può reagire?
  4. IMPARANO A MENTIRE E NASCONDERE I COMPORTAMENTI. Il dolore e il rifiuto sociale sono elaborati nella stessa area del cervello. Il rischio, quando si ricorre alla sculacciata, è che i bambini facciano qualunque cosa pur di evitare il dolore di una punizione fisica (e del rifiuto da parte dei genitori) e questo, lungi dal favorire una comunicazione all’insegna della collaborazione e un atteggiamento ricettivo nei confronti dei nostri insegnamenti, li indurrà solo a mentire e a nascondersi.
  5. ATTIVAZIONE DEL CERVELLO RETTILIANO. Quando interagiamo con nostro figlio, possiamo scegliere di attivare la parte superiore, “pensante” e più saggia del suo cervello, o la parte inferiore, più reattiva, istintiva e antica (“rettiliana”). Immaginiamo di minacciare o attaccare fisicamente un rettile: che tipo di reazione pensiamo di provocare nell’animale? C’è ovviamente reattività istintiva senza saggezza e senza disponibilità alla comunicazione. Allo stesso modo, quando si incute paura o rabbia in un bambino oppure gli si infligge una sofferenza fisica, si induce l’attivazione delle parti del suo cervello più primitive e reattive, invece di indirizzarlo verso le regioni più razionali ed evolute, potenzialmente più sagge, che consentirebbero al bambino di essere ricettivo e aperto nei confronti degli altri e di gestire al meglio le proprie emozioni.

E’ quindi importante riflettere bene sulle soluzioni che decidiamo di adottare, anche perché ci sono così tante alternative più efficaci per insegnare la disciplina ai nostri figli, strategie che li portino ad “allenare” le regioni superiori del cervello, affinché si rafforzino e si sviluppino sempre di più, facendo sì che i bambini col tempo inizino a governare meglio le proprie emozioni e a tenere, di conseguenza, comportamenti meno “istintivi”.

Per chi è interessato, ecco il paragrafo completo 👇

***LE SCULACCIATE E IL CERVELLO***

tratto da “La sfida della disciplina. Governare il caos per favorire lo sviluppo del bambino”

di Daniel J. Siegel e Tina Payne Bryson.

Una reazione automatica cui ricorrono alcuni genitori quando il figlio si comporta male sono le sculacciate. […] Pur essendo davvero convinti sostenitori dell’esigenza di porre limiti e regole, entrambi siamo fortemente contrari alle sculacciate. […]

Sulla base del nostro approccio ispirato alle neuroscienze e della rassegna della letteratura riguardante gli studi condotti su questo tema, riteniamo che sculacciare il bambino sia probabilmente controproducente, se l’obiettivo è costruire un rapporto basato sul rispetto, fornire degli insegnamenti e favorire uno sviluppo ottimale. Inoltre, crediamo che i bambini debbano avere il diritto di non subire alcuna forma di violenza, soprattutto per mano delle persone su cui fanno più affidamento per essere protetti. […]

Comprendiamo bene che la frustrazione, insieme al desiderio di educare al meglio i propri figli, possano indurre alcuni genitori a ricorrere alle sculacciate come metodo disciplinare. Ma gli studi hanno evidenziato che, persino quando i genitori sono affettuosi, amorevoli e premurosi, sculacciare il bambino non solo è poco efficace per modificare il comportamento a lungo andare, ma è anche associato a esiti nello sviluppo in molti ambiti. Certamente, ci sono molti altri approcci disciplinari che possono essere altrettanto nocivi quanto le sculacciate. Isolare il bambino per lunghi periodi di tempo, umiliarlo, terrorizzarlo urlando minacce e impiegare altre forme di violenza verbale o psicologica sono tutti esempi di pratiche disciplinari che infliggono ferite nella mente del bambino, anche quando i suoi genitori non lo sfiorano mai nemmeno con un dito.

[…]

  1. In primo luogo, un tale approccio sarebbe controproducente. Infatti, porta il bambino a spostare l’attenzione dal proprio comportamento e dalla necessità di cambiarlo, alla reazione del genitore: il bambino […] si limita a rimuginare su quanto sia ingiusto e cattivo il genitore che gli ha fatto del male – o persino su quanta paura ha avuto di lui in quel momento. In questi casi, quindi, la reazione del genitore compromette entrambi gli obiettivi principali della disciplina – modificare il comportamento sbagliato e favorire lo sviluppo cerebrale – […].
  2. Un altro problema importante riguardo alle sculacciate riguarda il loro effetto a livello fisiologico e cerebrale. Il cervello interpreta il dolore come una minaccia. Perciò, quando il genitore causa sofferenza fisica nel figlio, il bambino si trova di fronte a un paradosso biologico senza soluzione. Da un lato, infatti, il bambino nasce con una predisposizione innata a ricercare, in momenti di malessere o paura, la vicinanza delle persone che si prendono cura di lui, per ricevere conforto e protezione: è il cosiddetto “sistema di attaccamento” che si attiva. Ma, quando queste persone sono allo stesso tempo anche fonte di sofferenza e paura […], il cervello del bambino viene assalito dal più totale disorientamento: […] non è possibile avvicinarsi e contemporaneamente allontanarsi dalla stessa persona. Nei casi estremi, gli specialisti parlano di “attaccamento disorganizzato”. In presenza di uno stato interiore di disorganizzazione e di ripetute esperienza interpersonali in cui si viene terrorizzati dalle esplosioni di rabbia del genitore, viene rilasciato il cosiddetto “ormone dello stress”, il cortisolo, che a lungo andare può avere effetti negativi duraturi sullo sviluppo cerebrale, perché questo ormone, se prodotto in grandi quantità per lungo tempo, è nocivo per il cervello e ne compromette una crescita sana. Quindi, punizioni dure e severe possono di fatto indurre cambiamenti significativi nel cervello, per esempio la distruzione di connessioni fra le cellule nervose e persino la morte delle cellule stesse.
  3. Un ulteriore problema legato alle sculacciate riguarda il fatto che questo metodo disciplinare insegna al bambino che il genitore non dispone di nessun’altra strategia efficace se non quella di infliggere dolore fisico. Si tratta di un insegnamento diretto che ogni genitore dovrebbe considerare molto attentamente: vogliamo davvero insegnare ai nostri figli che l’unico modo per risolvere una situazione conflittuale è provocare sofferenza fisica, in particolare in una persona indifesa che non può reagire?
  4. Sulla base delle nostre conoscenze riguardanti il cervello e il corpo, sappiamo che gli esseri umani sono istintivamente predisposti a evitare il dolore. Inoltre, il dolore fisico e il rifiuto sociale vengono elaborati nella stessa area del cervello. Pertanto, infliggere dolore fisico al bambino significa anche attivare nel suo cervello il dolore di essere rifiutato dagli altri. Gli studi indicano come le sculacciate, anche se spesso servono a interrompere subito un comportamento sbagliato, non siano altrettanto efficaci per modificare stabilmente il modo di comportarsi. Piuttosto, poiché non è possibile che i bambini si comportino sempre alla perfezione, spesso accade che col tempo diventino sempre più bravi a nascondere le loro bravate. In altre parole, il rischio è che i bambini facciano qualunque cosa pur di evitare il dolore di una punizione fisica (e del rifiuto sociale) e questo, lungi dal favorire una comunicazione all’insegna della collaborazione e un atteggiamento ricettivo nei confronti dei nostri insegnamenti, li indurrà sempre di più a mentire e a nascondersi.
  5. Un ultimo aspetto riguarda la parte del cervello cui vogliamo fare appello e che vogliamo sviluppare quando insegniamo la disciplina ai nostri figli. […] Possiamo scegliere di attivare la parte superiore, “pensante” e più saggia del cervello del bambino, o la parte inferiore, più reattiva e antica tanto da essere definita “rettile” o “rettiliana”. Immaginiamo di minacciare o attaccare fisicamente un rettile: che tipo di reazione pensiamo di provocare nell’animale? Immaginiamo che si tratti di un cobra in trappola che soffia contro di noi. Non c’è traccia di saggezza o di disponibilità alla comunicazione nella reattività. Quando veniamo minacciati o attaccati fisicamente, è la parte più antica del nostro cervello, quella rettiliana appunto, a prendere il sopravvento. Passiamo in una modalità di sopravvivenza che ci consente di adattarci nel modo migliore alle condizioni presenti, attraverso reazioni di “attacco, fuga o congelamento” […]. Analogamente, quando si incute paura o rabbia in un bambino oppure gli si infligge una sofferenza fisica, si induce un aumento del flusso di energia e di informazioni verso le parti del suo cervello più primitive e reattive, invece di indirizzarlo verso le regioni più razionali ed evolute, maggiormente ricettive e potenzialmente più sagge, che consentirebbero al bambino di compiere scelte salutari e flessibili, gestendo al meglio le proprie emozioni. Quindi, la domanda che dobbiamo porci è: vogliamo scatenare la reattività del “cervello rettiliano” di nostro figlio oppure attivare la sua parte “pensante” e razionale, affinché sia ricettivo e aperto nei confronti degli altri? Innescando gli stati reattivi del cervello, perdiamo la possibilità di sviluppare la sua parte raziocinante. E’ un’opportunità sprecata. Anche perché ci sono così tante alternative più efficaci per insegnare la disciplina ai nostri figli – strategie che li portino ad “allenare” le regioni superiori del cervello, affinché si rafforzino e si sviluppino sempre di più, facendo sì che i bambini col tempo diventino persone responsabili, capaci di comportarsi il più delle volte nel modo giusto. 

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