Una consigliera iperprotettiva e ingannevole

Chi pratica la meditazione ormai lo sa: la nostra mente, proprio quella tanto glorificata dalla cultura occidentale, la stessa veramente utile in molte situazioni, talvolta può essere ingannevole, una cattiva consigliera. 

Innanzitutto, rimbalza come una scimmietta da un pensiero all’altro, e quest’attività è talmente intensa e incessante da allontanarci irrimediabilmente dal momento presente, che poi è l’unico che abbiamo veramente a disposizione: per rincorrere la preoccupazione che la scuola chiuda per il covid, non ci concentriamo su ciò che invece abbiamo in quel momento, per stare nella mente fuggiamo dalla realtà. Se viviamo ogni singolo momento concentrati solo su quel singolo momento, la nostra vita sarà ricca e piena. Non ci sembrerà più, come accade sempre più spesso, che il tempo voli.

Inoltre, tutti i milioni di pensieri che produce sono spesso dettati da qualcosa che noi crediamo sia pienamente “nostro”, ma che in realtà è spesso un’eredità della nostra famiglia o comunque uno schema automatico di cui non siamo consapevoli. Crediamo di averci ragionato e che sia tutta farina del nostro sacco, ma non lo è. Ho il disgusto della frutta, soprattutto quella viscida? Credo fermamente che sia una mia scelta, un mio gusto, ma la probabilità maggiore è che qualcuno, quando ero piccola, avesse il terrore che quel cibo mi andasse di traverso. Mi ha trasmesso quella paura, e ora io non mangio quel tipo di cibo, pensando che sia una mia scelta. Non sopporto quando mio figlio lascia tutto in disordine? Be’, può essere che sia io… ma può essere anche che qualcuno non mi abbia mai permesso di lasciare dei giochi in disordine, e oggi io, quasi come un fratellino geloso, non riesco a tollerare che a qualcun altro venga concesso.

Questi sono automatismi, schemi, processi di cui siamo inconsapevoli e che guidano le nostre azioni e le nostre scelte quotidiane.

–> Questo, naturalmente, avrà poderosi effetti sulla nostra vita familiare, sul rapporto con i nostri figli.

E quello che noi possiamo (e dovremmo) fare è smettere di identificarci con quella mente, con quei processi mentali, con quei pensieri. E’ difficile non identificarsi con i propri pensieri, non è vero? Ma noi non siamo quello che pensiamo, soprattutto se ciò che pensiamo non è frutto di una nostra elaborazione matura e consapevole. 

A questo serve la meditazione. Oso parlarne, da profana quale sono, perché credo davvero nella sua importanza come pratica quotidiana di benessere, non solo fisico e mentale, ma spirituale. Ma questo è un altro discorso. 

Ciò che importa è che fa bene. Perché?

Perché ci aiuta a stare nel momento presente. Quando meditiamo, noi possiamo provare a concentrarci sul respiro, pratica, questa, che ci terrà ancorati esattamente al “qui” e all'”ora”. Che è tutto ciò di cui abbiamo bisogno (per non caricare tutto ciò che accade oggi con le emozioni di ciò che è accaduto nel passato).

I pensieri, le nostre brave scimmiette saltellanti, arriveranno impetuosi. E’ normale. L’allenamento consiste nell’osservare questi pensieri, non giudicarli (non dire a noi stessi questo è giusto, questo è sbagliato, oh guarda non riesco a concentrarmi, sono proprio imbranato!), ma neppure inseguirli, non sguazzare allegramente in quel pensiero perché importante, o interessante (è proprio questa la caratteristica che li rende appealing e ci convince a tralasciare il momento presente per dare loro lo spazio che chiedono). Bisogna osservare il pensiero come si osserva una nuvola in cielo, e quindi lasciarlo andare per la sua strada proprio come quella nuvola va via trasportata dal vento. E quindi, ritornare delicatamente e amorevolmente al nostro respiro, al nostro qui e ora.

E’ difficile stanare la mente, come dicevamo, perché ci inganna. Perché nella nostra cultura, quella occidentale, la mente è qualcosa da celebrare, da osannare, ciò che ci rende importanti e ci gratifica. E noi ci identifichiamo con lei. Come scrivevo sopra, siamo assolutamente convinti di essere ciò che pensiamo.

Ma come fare ad allontarci dal pensiero “questo mio figlio è veramente pigro/cattivo/disubbidiente/sciocco/terribilmente maldestro”? Come facciamo ad allontanarcene se noi sentiamo di essere quel pensiero?

Sapete, quando eravamo piccoli io e i miei fratelli prendevamo spesso in giro nostro padre perché a volte iniziava i suoi discorsi con “Nella vita…” seguito poi da qualche massima o perla di saggezza 🙂 Be’ uno di quei discorsi che mi fece fu: “Nella vita bisogna sapersi prendere in giro e non prendersi troppo sul serio”.

Al tempo non ci feci troppo caso, ma come spesso accade anche quel suo consiglio è rimasto da qualche parte, fino a quando, proprio in questo periodo, non l’ho messo insieme ad altre idee a cui ero giunta da sola e ho trovato il suo senso (immagino sia lo stesso che intendeva mio padre, ma non ne ho la certezza, dovrei chiederglielo!). 

Bisogna usare l’autoironia e non bisogna identificarsi troppo: con le credenze, con le convinzioni, con le idee, con i principi, con le certezze incrollabili. Abbiamo delle idee, ma potrebbero cambiare, dipende da molti fattori, le cose cambiano, le idee mutano, e noi non siamo quelle idee. Ecco, questa, secondo me, è la soluzione migliore per non farsi abbindolare dai giochetti della nostra mente.

Per iniziare a non identificarsi, a me piace ricorrere a un volontario sdoppiamento della mia personalità e pensare alla mia mente come a una persona ben distinta da me. Se no questa mente di cui parliamo, alla fine, chi è? Una nebulosa che sta lì, nel mio cervello, a organizzare piani malefici? No. Allora, la mia mente è una persona vera e propria, le do un nome e delle specifiche caratteristiche fisiche. Non è cattiva, no (vi ricordate? Non bisogna giudicare i propri pensieri… e tutto il resto). E’ solo un po’ egocentrica. Le piace mettere bocca su tutto, decidere tutto, insomma, vuole essere sempre sul piedistallo e avere l’ultima parola. In certi casi, in molti casi addirittura, è una validissima aiutante: se devo risolvere un problema pratico, è a lei che mi devo rivolgere. Ma è un’aiutante, solo quello. Non è lei che comanda, e bisogna insegnarle a stare al suo posto.

Soprattutto, ed è questo il motivo per cui sono giunta a parlare di questo argomento con voi, la nostra mente tende a interferire decisamente troppo quando si tratta dei nostri figli. 

Sì, vedete, lei riporta in vita ciò che abbiamo provato nella nostra infanzia, ci fa ripetere le parole dei nostri genitori, dei nostri nonni, dei nostri insegnanti, ci obbliga a ripetere incessantemente gli schemi con cui siamo cresciuti. Lei ci ricorda le nostre sofferenze ma trova modi astuti per non farcele più provare; e sapete qual è un modo molto astuto? Ci fa diventare aguzzini. 

Come funziona questo meccanismo?

Quando accade qualcosa fuori di noi, nel mondo esterno, quel qualcosa fa scattare in noi una reazione, che non è, se non in minima parte, legata a quello specifico fatto di quel momento; al contrario, è qualcosa che rischia di farci soffrire molto per uno dei seguenti motivi:

  1. qualcuno fa qualcosa che a noi non è mai stato concesso fare (es. mio figlio colora fuori dai bordi, si alza da tavola prima che tutti abbiano finito, vuole dormire vicino a me, lancia in aria un tovagliolo, e io da bambino non potevo fare nulla di tutto questo);
  2. qualcuno fa qualcosa che anche noi vorremmo tanto riuscire a fare ancora oggi (es. quella persona vive con una leggerezza di cui noi crediamo di non essere capaci)
  3. qualcuno fa qualcosa che ci ricorda una caratteristica di noi che proprio non ci piace (es. nostro figlio si arrabbia per un nonnulla … e anche noi!).

Ora, in tutti questi casi, è difficile capire che quello che è accaduto è solo un fatto, slegato dal nostro passato, perché invece quel fatto per noi ha un carico emotivo ben più pesante del singolo episodio in sé, ciò che fa mio figlio è caricato con tutto ciò che ho provato quando mia madre mi ha sgridato, o il modo in cui vive la mia collega è caricato di tutta la frustrazione che provo da una vita per non riuscire a essere più “leggero”, come vorrei.

Ma capire profondamente questo vorrebbe dire contattare tutta la sofferenza di me bambina o tutta la mia frustrazione o tutta la mia incapacità di cambiare un aspetto di me che non mi piace. E allora, la nostra signora Mente interviene per alleggerirci il carico e ci dice “ma no, non sei tu, è lui che è un pasticcione, è lei che ha un modo di fare del tutto irresponsabile… “ e così via. Insomma, ci fa “il piacere” di scaricare su altri una responsabilità (quella della nostra reazione) che sarebbe tutta nostra.

E allora, che fare?

Come dicevo, la soluzione migliore secondo me è non identificarsi con questa signora egocentrica, ma vederla come qualcuno fuori di noi.

La signora egocentrica, sebbene armata della buona intenzione di proteggerci (ossia non farci provare più la sofferenza passata) si mette vicino al nostro orecchio e ci fa dire cose terribili proprio ai nostri figli, a quegli esseri che amiamo più di noi stessi, per i quali daremmo entrambi i reni e tutti e 4 gli arti.

  • Non mi posso fidare di te!
  • Sei cattivo!
  • Mi hai deluso!
  • Combini sempre guai! 
  • Sei pigro! 
  • Ti sei comportato male e quindi ti meritavi quello schiaffo che ti ho dato.

Per rimetterla, con delicatezza, al suo posto, però, dovete assolutamente vederla per quello che è: un estraneo che non si fa i fatti suoi. Quando abbiamo un problema pratico da risolvere, ben venga il suo aiuto, ma è un aiuto richiesto in momenti specifici e basta. Immaginatevi quindi questa scena: voi siete al parco giochi e, mentre vostro figlio gioca, arriva una persona esterna e inizia a riempirlo di insulti, parole talmente forti da ridurlo in lacrime; pensate a cosa fareste se addirittura si azzardasse ad alzargli le mani! Quell’estraneo è la nostra Mente.

La nostra Mente deve essere zittita all’istante quando ci suggerisce quelle parole odiose, che segneranno immancabilmente il nostro bambino. 

Non è facile iniziare a osservare i propri meccanismi interiori, i propri automatismi, riuscire a riconoscerli. Ma è un percorso da intraprendere, riuscire a restare sul presente, vedere ciò che abbiamo davanti per quello che è, e non per il significato di cui lo carichiamo. Un bambino che piange è solo un bambino che piange, un bambino in difficoltà, e se proviamo irritazione e sofferenza perché nessuno ha accolto il nostro pianto quando eravamo piccoli, be’ questo non è un buon motivo per scaricare tutto questo su nostro figlio e continuare il circolo vizioso (perché sì, anche lui farà così da grande con i suoi figli); è un ottimo motivo, invece, per cogliere l’occasione e abbracciare il bambino che eravamo, il bambino interiore che serbiamo nel nostro cuore, dirgli che ha sofferto tanto, che non meritava quel trattamento, ascoltarlo oggi e dargli ciò di cui aveva e ha bisogno proprio come faremmo con nostro figlio. Dobbiamo prenderci cura di noi stessi come farebbe il miglior genitore del mondo con il figlio più fortunato del mondo. In questo modo, salveremo due bambini anziché sotterrare uno di loro con la nostra sofferenza (nostro figlio) e lasciare l’altro nell’oblio perché fa troppo male rievocarlo (io bambina).

E, in tutto ciò, rimettiamo la Mente al suo posto, e chiamiamola davvero solo quando sono richiesti i suoi servigi: se c’è da fare la lista della spesa o pianificare gli obiettivi dei prossimi mesi. Spieghiamoglielo, alla nostra aiutante iperprotettiva, che non abbiamo bisogno della sua protezione, che siamo abbastanza forti da affrontare il nostro passato, che abbiamo la capacità e la volontà di toccare la nostra sofferenza per accoglierla e guarirla una volta per sempre, che vogliamo salvare noi stessi e nostro figlio e che lei può mettere bocca solo quando è chiamata!

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